Un anno dopo “Storie in forma di canzone”, ecco “Girotondo”. Nicola Pisu ci regala un concept che avrebbe potuto assumere lo stesso titolo del suo predecessore. Anche quelle di “Girotondo” sono storie in forma di canzone. O meglio, poesie. Perché il quarantunenne musicista sardo, al terzo album della sua carriera, rievoca i maestri della migliore tradizione cantautorale italiana. Le storie sono quelle d’emarginazione, di zingari e papponi: storie di strada, quelle di chi non riesce a ritagliarsi un ruolo all’interno della società. Quelle di De Andrè, quelle di Guccini. E qualunque giovane cantautore sarebbe onorato d’esser citato accanto ai più grandi poeti italiani degli ultimi anni, perché non è esattamente da tutti. Già questo basterebbe a lasciar immaginare il valore del disco. Nelle parole di Nicola Pisu c’è il titanismo di soggetti vittime della società e del mondo, di un destino avverso che li ha ridotti a una condizione di subalternità, c’è voglia di cantare la strada, di restituire dignità a chi combatte ogni giorno per difenderla, restituire umanità a chi ne ha ma non gli viene mai riconosciuta, di accarezzare chi è nobile d’animo ma non d’estrazione sociale. Ecco perché sarebbe probabilmente riduttivo parlare di storia in musica ed è più opportuno parlare di poesie, musicalmente vintage, eppure meritevoli di più d’una lode.
Tra la preghiera romantica che apre (“Madre”) e quell’invettiva finale contro il “vorrei ma non posso” di chi osserva la società senza avere slanci affinché cambi (“Il Gallo Canta”), meritano una menzione speciale anche anche la “Don Raffaè” dell’album (“Intorno al viale”), il “porco Novembre” d’un bevitore che inveisce contro i mesi freddi, i preti, i politici, i santi e contro chi “non sente solitudine e fatica di non esserci per niente”. Ma merita anche la storia d’un ragazzo nomade che, con immagini molto poetiche e sentimentali, racconta la sua vita in cinque minuti e mezzo (“Rom”), brano questo in grado d’elevarsi a simbolo dell’album, che permette di capire il bel taglio che Pisu ha voluto imprimere al suo terzo lavoro discografico. È un’opera di pregevolissima fattura, che va ascoltata, letta e vista per le immagini che crea. Un disco su cui riflettere, che fa riflettere. Un lavoro da cantautore e poeta, di un artista giovane in grado di catapultarci indietro di vent’anni, in un modo tanto umile ed educato da meritare solamente applausi. (Piergiuseppe Lippolis)