Mario Bonanno recensisce “Girotondo” su Mescalina

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Faccio un esempio, così ci capiamo subito: “Quando il mugnaio d’impiccò/ il bambino con la barba/ fumava cristalli di crack/ sulle scale del metrò/ sua madre era distratta/ dita di velluto/ intrecciava crisantemi/ ferma alla fermata/ Con le mani incrociate sulla pancia/ pensava è qui, è qui che comincia” (Favola metropolitana). Queste sono le parole che mi piace trovare nei dischi, parole che non trovo quasi più. Parole che dicono e non dicono, senza l’ansia di dire, di spiegare, declamare, illustrare, parole sbilenche come il passo di un ubriaco: una gamba nella cronaca vera se vi pare, l’altra nella poesia. Parole che evocano in taglio basso. Parole come quest’altre, decisamente più in sintesi: “Le nuvole sciolte nel cielo autunnale/ son barche morte/ attese andate a male”. (Novembre).

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