Nicola Pisu, classe 1973, nato a Serrenti, è un cantautore innamorato della sua Isola, della quale riesce a restituire, intatte, la geografia emozionale e la dolente dignità. Quella con Fabrizio De André è una parentela quasi archetipica, innata, lontana da sterili tentativi di aemulatio; è un’affinità ontologica, distante anni luce da infecondi riecheggiamenti epigonici. La poetica Di Pisu non vive di suggestioni estemporanee, si nutre di interiorizzazioni profonde e memorie ancestrali; è un canto basso, in penombra, intessuto di pietas e di speranza, che celebra sottovoce la religiosità silente del quotidiano.
“Abacrasta e dintorni” è un concept album liberamente ispirato al primo capitolo del romanzo “La leggenda di Redenta Tiria” e a “Il viaggio degli inganni” dello scrittore sardo Salvatore Niffoi. La tematica del suicidio ha ispirato alcune delle più belle canzoni italiane di tutti i tempi, penso-tra le altre- a “Rudy “ (di Guido Bolzoni) e “Volendo si può” (di Vito Pallavicini e Giorgio Conte) nell’interpretazione magistrale di Mina, a Respirando di Battisti-Mogol, ad “Albergo a ore” tradotta in italiano da Herbert Pagani dalla versione in lingua francese, Les amants d’un jour. Lo stesso Fabrizio De André dedicò a questa tematica un intero trentatré giri, “Tutti morimmo a stento”. Il suicidio è davvero “il modo che l’uomo ha per dire a Dio: <<Non puoi licenziarmi, me ne vado io!>> ” (Bill Maher)?