Genova, ottobre 2022
Accanto alla pietra filosofale, al posto delle fragole, alla fontana della vergine, alla spada nella roccia che Guccini e Vecchioni sono stati per me dai quindici anni ad ora (che ne ho sessanta spaccati), e all’ isola del tesoro affollata dai vice-miti (sempre per me) De Gregori, Gaber, Lolli, Dalla, Conte, De André, Della Mea, Graziani, Amodei, Battiato, Svampa, Bennato, Siviero, ecc ecc si trova una scatola da scarpe con dentro le biglie. Che, le biglie, sembrano un po’ le bolle di sapone. Insomma: grossomodo. Per biglie intendo quelle di vetro e quelle di plastica dei ciclisti: Bitossi, Gimondi. Quella gente lì.
Le biglie hanno che non sono fondative nè nei paraggi della fondazione. Di che? Di una persona, di me. Non sono cemento armato, pietre angolari. Rotolano, accarezzano, graffiano magari anche un pochino, evocano baci profondi di un tempo. Hanno il carattere di un brivido che riconosci. Che hai già conosciuto. E si ripresenta. Sono imparentate con le caramelle di eucalipto, le mentine, il crepuscolo, i nontiscordardime.
Si spiegano con la bellezza del vestito bianco del protagonista di Oci ciornie [film del 1987 diretto da Nikita Sergeevič Michalkov, ispirato ad alcuni racconti di Anton Čechov, NdR]. Delle limonate di Pereira.
Max Manfredi, Franco Boggero, Lino Straulino, Oliviero Malaspina, Marco Stella, Sergio Alemanno, Claudia Pastorino, Paolo Archetti Maestri, Marcello Stefanelli, Roberta Barabino, Giovanni Peirone, Simona Ugolotti, Roberta (e Giampiero) Alloisio, Alessandro Tomaselli, Gabriele Priolo, Giovanni Acquilino.
Nicola Pisu.
Ci siamo arrivati. Era ora. Ho ascoltato più volte le canzoni del suo disco. Che è disco, un disco, specie se ti piace, anche se è un cd, una chiavetta, una di ‘ste cose aeree che ci si possono mandare per mail.
La biglia, se ti becca bene, è altro che una bolla di sapone. Ti fa perdere un occhio e buonanotte. Per esempio: “Melton il sarto”. Che è una canzone cimiteriale. Forse livida. Sicuramente bellissima. Parla (canta, una canzone canta) di “vita che non dura” e dice (suona) che “alla fine ci si veste/ su un letto di viole/ si taglia la giacca/ nelle ore funeste/ pronti per il cielo”.
“Lettere da Spoon River” è lì, insieme a Melton, a dirci che non è peccato assomigliare a qualcuno e neppure fare una cosa anche grazie al fatto che quella cosa l’ha pensata e detta un altro. E se lo fosse, peccato, vale la pena di commetterlo: senza il peccato/non peccato di assomigliare (o venire, per forza, assimilati a De André) Pisu non avrebbe scritto “la zitella di cuore”. Che sono le uniche parole che ricordo, a distanza di qualche giorno dall’ultimo ascolto, della canzone.
Qua lo so che schiaccio le uova. Una cosa che fa arrabbiare cantautori, poeti, scrittori, pittori e via dicendo è che la loro arte venga riferita a un altro, magari (anzi: sempre) più “grande”. Ci escono di testa. Se va bene mettono il broncio. Spero che Nicola Pisu si discosti da questo comportamento e che dica «bè, sì, cavoli: faccio un po’ venire in mente De André, Cohen, Locasciulli, De Gregori però dai, alla fine (anzi — ma questo lo dico io — quasi subito) si capisce che sono un altro». E in effetti (lo dico da nipotino di quasi tutta la “linea ligure”, da figlio — anzi, aborto — di Pasolini, da imitatore volontario di Pavese) Pisu un altro lo è per davvero. Come Buzzati era un altro rispetto a Kafka. Quasi completamente un altro. Un pochino poco poco Kafka però Buzzati lo è. Per fortuna sua e nostra. E così Pisu un po’ è anche i tizi, come si dice, di cui sopra.
Gianni Priano
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Gianni Priano, nota biografica.
Genova (1962), poeta, narratore, insegnante. Ha pubblicato recensioni, versi, racconti su riviste sparse e un libro di critica letteraria, Le violette di Saffo (Il Ponte del Sale, 2011): quattro ritratti dedicati a Bianciardi, Pavese, Sbarbaro e Pasolini, insieme insegnanti e scrittori. Dirige Il Foglio, rivista culturale della Biblioteca ‘Adriano Guerrini’ di Tiglieto. Appena può, scappa ai Pliz, nella sua casa collinare piantata nel matrio Alto Monferrato, tra prati incolti che furono vigne e boschi nei quali è ritornato il lupo. Con Pentàgora ha pubblicato Gioghi di parole (2018) e – insieme con Simona Ugolotti – Stradiario Genovese (2019).