“Spogliato di ogni artificio sonoro, il brano di Cohen diventa specchio di un’umanità che arranca. Quell’umanità che sofferente si aggira come fantasma nelle nostre città e che, ormai da anni, Nicola Pisu ci invita a guardare. E alla fine del brano… l’acre sapore dell’indifferenza.” (Fortunato Mannino, SOund36 Music Magazine)
“Chi col fuoco” è una libera traduzione e adattamento di “Who by fire”, celebre canzone di Leonard Cohen, contenuta nell’album New skin for the old ceremony del 1974.
Nel 2015, una prima versione, differente da questa eseguita live, venne inclusa in una compilation dedicata al cantautore canadese e prodotta a San Pietroburgo.
Il testo originale è in parte ispirato dal secondo paragrafo dell’Unetanneh Tokef, un poema liturgico ebraico cantato in occasione del Rosh Hashanah (il Capodanno ebraico) e dello Yom Kippur (il giorno dell’espiazione dei peccati).
Come riportato su Antiwarsongs (Canzoni contro la guerra) si tratta di una sorta di meditazione sulla morte e sull’esistenza di Dio. Il verso «And who, shall I say, is calling?» gioca sull’ironico doppio senso di ‘calling’, poiché il tono è lo stesso che userebbe un maggiordomo o una segretaria al telefono: «chi devo dire che sta chiamando?»; la formulazione «Shall I» nella sua accezione arcaica rende la frase rispettosa ed educata, quando allo stesso tempo sta proponendo una domanda scottante.
Canzoni tradotte e canzoni tradite: quando si traduce bisogna saper rinunciare a un po’ di fedeltà per la buona riuscita – in termini di cantabilità e quindi di ascoltabilità – della nuova canzone, senza però snaturare l’originale. A proposito di “Who by fire”, mi sono permesso di aggiungere un’intera strofa, sperando che qualcuno non ritenga ciò un’ingiuria. N.P.