UN SEMPLICE SCRITTORE DI CANZONI
Cantautore è un termine, entrato in uso intorno al 1960, che nella musica leggera indica quei cantanti che sono anche autori dei testi delle canzoni che interpretano.
La qualifica di cantautore è un titolo che non mi è stato assegnato in seguito agli studi effettuati, bensì all’evidenza, alla caratteristica che mi contraddistingue e posso sintetizzare nello scrivere e cantare le mie canzoni. D’altronde, un po’ di album pubblicati ne sono la testimonianza.
Cantautore è un’etichetta che colloca ciò che faccio in una certa categoria, che ne precisa l’attività, gli intenti e le funzioni, e come tale tenderei a rifiutare, però, a essere sincero, è abbastanza corrispondente alla realtà. Sempre meglio, come diverse volte è capitato, di venire definito poeta o artista: preferisco che si dica scrittore di canzoni o cantautore, e stabilire le differenze fra gli uni e gli altri non mi compete e nemmeno mi interessa.
Erri De Luca dice che lo scrittore non lo considera artista, perché artista, dal suo punto di vista, è qualcuno che esprima qualcosa di immediatamente percepibile, da chiunque, in qualunque lingua e da qualunque cultura provenga, anche da un analfabeta. Una musica, un’immagine, una fotografia, una scultura, un dipinto sono percepibili da chiunque senza necessità di traduzione. Trasponendo questo ragionamento alla canzone d’autore, essendo essa comprensibile solo da chi parli quel determinato idioma e non da chiunque, si deduce — e la cosa non mi dispiace affatto — che un cantautore non sia definibile artista. Ma, a dire il vero, andrebbe considerata anche la parte musicale, quindi al massimo potrei avere una caratura da mezzo artista.
Inoltre, credo che scrivere e interpretare le proprie canzoni sia una condizione necessaria ma non sufficiente per rientrare a pieno titolo fra i cantautori: sono fondamentali forma e contenuto dei testi. Comprendo che occorrerebbe una specie di tribunale formato da critici musicali per giudicare cosa sia canzone d’autore e cosa no, quindi, vista la vastità e la soggettività della definizione, in fin dei conti, è meglio dedicarsi all’ascolto di queste canzoni, che, se le mettessimo tutte insieme, le potremmo osservare sotto molteplici luci, come tanti pezzi di vissuto: gioie, delusioni, dolori, cadute, luoghi visitati, personaggi amati, sogni, amicizie, amori, libri, viaggi, errori, perdite, visioni, occasioni lasciate lì, treni deragliati, ubriacature, puttanate, fantasie, piccoli rimpianti, bicchieri mezzo vuoti, porte chiuse, finestre aperte, case, comignoli fumanti, infrangersi di onde, rami spezzati, foglie gialle calpestate, pioggia sugli ombrelli, promesse non mantenute, bicchieri mai pieni, desideri, destini che si incontrano… Insomma, come la vita di ognuno.
Scrive Umberto Eco in una prefazione a un saggio (Le canzoni della cattiva coscienza, Bompiani, 1964): “Non è necessario che intrattenimento ed evasione, gioco, ristoro siano […] sinonimo di irresponsabilità, automatismo, qualunquismo, ghiottoneria sregolata”. Secondo Eco può esistere una canzone “nuova”, che definisce “diversa”, che merita e che richiede “rispetto e interesse”, che non è un atto di sfiducia nei confronti della canzonetta. È a quella tipologia di canzone che ho sempre guardato e spalancato le orecchie. A essa mi sono approcciato e grazie alla quale, in un certo senso, mi sono salvato. È stata una sorta di salvagente al quale mi sono aggrappato per rimanere a galla.
Non ho la presunzione di credere di apportare chissà quale tipo di qualità alla canzone italiana, né alcuna innovazione, non mi piace pensarmi portatore di nient’altro che non rappresenti me stesso, un semplice scrittore di canzoni.
Nella «Grammatica italiana» del linguista e filologo Luca Serianni si afferma che alcuni verbi sono difettivi del solo participio passato, così, nella vita di uno che scrive canzoni capita — mi riferisco a me — di non aver l’istinto alla competizione e di non aver mai *competuto; però, al contrario, ci saranno alcuni splendenti cantautori antagonisti smaniosi di rivincita che, impancatisi a esperti di lingua italiana, troveranno un sostituto, avendo essi sempre affrontato le competizioni con appassionata serenità.
Un semplice scrittore di canzoni, in definitiva, è colui che interpreta le canzoni che compone da sé, che non ama le competizioni, più consone alle discipline sportive, che vorrebbe non doversi occupare di promozione musicale, che crede di saper distinguere la canzone d’autore da ciò che non lo è, che dice di sottrarsi volentieri alle lodi solo perché non ne riceve abbastanza, e che non pecca di presunzione. D’altra parte, peccare di modestia è virtù che si fa vizio, il peccato di chi si sminuisce per ottenere un tornaconto. E, lo dico seriamente, non è certamente il mio caso.
Scrivete storie malsane
di libertà e fandonie
sputate sul potere
amate sciolte puttane
Raccontate di ubriachi
di chi brancola ai margini
fate tre canzoni a litro
e tre pacchetti fumati
Vi reputate l’essenza
la musica impegnata
ma ostentate modestia
noiosi di saccenza
Santa Censura non li senti
quante oscenità
e son pure di sinistra
o anarchici convinti
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