SULLA RESPONSABILITÀ DELLA CANZONE D’AUTORE
Non è di vitale importanza decidere una volta per tutte se i testi dei cantautori siano equipollenti alle poesie dei poeti propriamente detti. Ciò che importa urgentemente, dal mio punto di vista, è stabilire se questa società abbia ancora bisogno dei cantautori, se riconosca la necessità artistica e sociale della canzone d’autore, se sia in grado di identificarla, distinguerla e apprezzarla. Gli estimatori del genere, che genere musicale non è, sono sempre stati una minoranza, confrontati con la totalità dei fruitori di musica, esattamente come i fruitori di poesia. E per fruitori di poesia intendo coloro che acquistano e leggono libri di poesia, che approfondiscono la biografia dei poeti, non chi la smembra solo per farne citazioni da utilizzare a proprio uso e consumo. Vien da sé che per fruitori dei cantautori intenda quanti comprino i loro dischi e li ascoltino con la dovuta attenzione, non quelli che memorizzano due frasi e un ritornello appresi distrattamente su youtube.
In Italia i cantautori, quelli noti al grande pubblico, sono quasi scomparsi. L’ultimo a lasciarci è stato Claudio Lolli, prima di lui Gianmaria Testa, prima ancora Fabrizio De André. Francesco Guccini è in vita ma ha smesso con le canzoni (e anche con le sigarette). Francesco De Gregori speriamo abbia lunga vita. Nomino altri tre cantautori vegeti e in rigogliosa attività: Max Manfredi, Federico Sirianni e Alberto Cantone, e ce ne sarebbero pochissimi altri in rappresentanza della canzone d’autore come io la intendo, però, purtroppo non sono arrivati alla notorietà che meriterebbero. A livello mondiale, due anni fa è morto Leonard Cohen, un gigante, la perfetta commistione fra canzone e poesia, ma fortunatamente Dylan sembra essere in gran forma, con la propria ontologia, in rappresentanza della storia della musica folk-rock, egli tempio e acquasantiera.
Tutto questo per dire che, nonostante la canzone d’autore sopravvivrà nell’opera lasciata dai grandi maestri, di cantautori viventi che potrebbero dare continuità storica al filone artistico ne è rimasto un numero esiguo. Sono come sopravvissuti alla mattanza della nuova società liquida e non mi riferisco alla definizione dovuta a Zygmunt Bauman, ma banalmente alle modalità con cui oggi si ascolta la musica: prevalentemente per mezzo di telefonini e computer, magari trenta secondi per canzone, per lo più su supporti digitali, volatili e compressi.
Mettiamo queste prassi superficiali insieme all’inconsistenza dei rapporti sociali, alla crisi del concetto di comunità, al prolificare di saccenti, presunti competenti, odiatori e tuttologi, alla bulimia del consumismo, al narcisismo sfrenato, all’epidemia di irrazionale simulazione di felicità quotidiana e all’analfabetismo funzionale, e il presente appare decisamente cupo e privo di sostanza.
E per sopravvivere a questa società liquida, bisognerebbe prima saperla leggere, raccontarla, comprenderla, per poi magari superarla, cose per le quali cantautori e poeti sarebbero molto utili.
Il punto non è
quanto tempo dovrà
passar prima che
nasca un nuovo poeta
Piuttosto se il mondo
saprà riconoscerlo
così avresti detto
con occhi lucidi
agli amici che sai
(Di qualche anno fa)
Preciso che non era mio intendimento stabilire univocamente quale sia la responsabilità della canzone d’autore, cosa essa sia e da chi sia rappresentata, né quale sia la più “pura”. Certamente i nomi da me fatti non sono tutti, ma non è che ne manchino troppi; naturalmente è solo il mio pensiero, d’altronde io per primo mi definisco cantautore e non critico musicale. Nonostante in questa sezione del sito sembra che mi diverta a farlo — il critico —, in realtà, essendo l’oggetto le mie canzoni, si potrebbe additarmi come saccente auto-psicoanalista.
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