STORIA DI UN BANDITO E DI UNA CANZONE LATITANTE
Giovanni Tolu (1822-1896) è stato uno dei più noti banditi sardi dell’Ottocento.
Nacque a Florinas, vicino a Sassari, in una famiglia di umili agricoltori, dove fu educato con severità. In quella società la presenza dello Stato era sostituita delle compagnie barracellari, un’originale forma di polizia rurale, una squadra di guardie campestri che, in cambio dei contributi versati da allevatori e coltivatori, pattugliava il territorio e si impegnava a proteggerlo, a prevenire i reati, a sorvegliare i beni rurali e, in particolare, a risarcire i danni causati da furti, atti vandalici e sconfinamenti del bestiame.
Nel 1850 Tolu sposò la serva del sacerdote Pittui, nonostante la dura opposizione a queste nozze da parte del sacerdote. La giovane sposa, mal consigliata da vicini e parenti e dallo stesso Pittui, assunse nel tempo un atteggiamento aspro, contrastando il marito su ogni decisione familiare. Le liti sfociarono in una separazione quando la ragazza, in attesa di un figlio, si rifiutò di andare a vivere nella nuova casa che i due avevano scelto di comune accordo. A quel punto, l’intromissione nella propria vita familiare, divenne per Tolu motivo di vendetta: con le percosse lasciò Pittui quasi in fin di vita nella strada per Florinas.
Dopodiché, si diede alla latitanza che durò circa trent’anni, divenendo leggenda temuta e rispettata.
Alla fine della sua avventurosa vita da bandito, Tolu fu arrestato e successivamente assolto «per aver agito in stato di legittima difesa». Quindi, si recò dal famoso scrittore e giornalista sassarese Enrico Costa, chiedendogli di scrivere la sua biografia. Un anno dopo la morte del brigante, per carbonchio, fu pubblicato il libro. Questa è pressappoco la vicenda che rese immortale il bandito di Florinas.
Nel 1996 scrissi una canzone, “Tolù”, che ripercorreva quella rocambolesca storia, a tempo di valzer, su un giro di accordi minori; lo svolgersi del travagliato vissuto lo appresi attraverso un libriccino acquistato in strada, in edizione popolare, intitolato Giovanni Tolu’ (proprio con l’apostrofo finale), stampato dalla Litotipografia TEA e curato da Antonio Cuccu.
Sul retro della copertina c’è una nota dell’autore che invita «lettori e appassionati di cose sarde a farne buona propaganda», oltre a specificare che «Questi libretti, erano proibiti o come si dice messi all’indice dal regime fascista, solo perché espongono concetti di assoluta verità, cosa che non sempre piace (sic.)».
In un piccolo paesino dipinto tra i boschi
aspro come la campagna svegliata dal mattino
quando il cielo era più blu e ogni preghiera più pesante
quando lo scoppio d’un fucile era il segno di Tolù
Il vento tra i comignoli, nel cappotto d’orbace
a Funtana Manna, legature che non danno pace
che Dio prenda quelle anime, che quelle anime vadano a Dio
e a ognuno il proprio posto, che questo è il posto mio
Un anno dopo, al palazzetto dello sport di Cagliari ci sarebbe stato l’atteso concerto del tour Anime Salve di Fabrizio De André. Studiavo all’università e abitavo in una palazzina nel quartiere di Stampace a Cagliari; una coinquilina mi disse che una sua amica, una certa Michela, aveva suonato il flauto nell’ultimo lavoro di De André, dopo un contatto col figlio Cristiano. Mi propose di far avere a De André, tramite la sua amica Michela, il testo di una mia canzone e, con un mare di dubbi e notevole imbarazzo, trascrissi (allora non usavo ancora il computer) “Tolù”, pensando che potesse interessargli il tipo di storia e di narrazione.
Da allora sono trascorsi un po’ di anni, il cantautore genovese non c’è più, Michela mi dicono suoni in strada in una cittadina turistica, i binari delle amicizie hanno preso direzioni diverse, così non ho mai saputo se quel testo glielo avesse consegnato.
La canzone la registrai in maniera casereccia e andò a finire in qualche demo tape. La ripresi molti anni dopo e ne perfezionai la musica, ma soprattutto continuai a lavorare sul testo; mi dissi che ero stato un incosciente solo a pensar di far leggere a De André quei versi ancora troppo acerbi.
Un rosario in mezzo al prato, una Madonna preparata
a ogni macchia di sangue, per un brigante innamorato
la valle di Sette Chercos a lusingare prete e bandito
meglio perderlo o salvarlo, meglio non essergli nemico
Oggi che credo di essere giunto al punto di maturazione, mi piacerebbe pubblicare “Tolù”, in quanto mi pare sia venuta, a furia di limare e correggere, una bella canzone. D’altronde, le belle canzoni possono essere tristi, malinconiche, allegre, nude, sostenute da archi, accompagnate da chitarre, battute dallo scirocco, bagnate dalla pioggia, soffiate dai flauti, impastate di fango, ritmate, orecchiabili, urlate, sincere, ombrose, arse dal sole, tremanti dal gelo, disarmoniche, accattivanti, poetiche, impegnate, ballabili, imperfette, ciniche, ispirate, balbuzienti, cantabili, sognanti, ingenue, timide, di getto, dolci, curate, giocose, arroganti, notturne, ironiche, graffianti, seducenti, ermetiche, superficiali, melodiche, leggere, spontanee, pensate, sussurrate, d’amore, intelligenti, aspre, mature, crudeli, libere, garbate, morbide, incazzate. Tutto il resto è pleonastico.
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