_STORIA DI UN ANARCHICO E DI UNA CANZONE A LUI DEDICATA

STORIA DI UN ANARCHICO E DI UNA CANZONE A LUI DEDICATA

C’è un bel dossier curato dalla Biblioteca e dal Circolo culturale, operanti a Pisa e intestati a Franco Serantini, intitolato Franco Serantini. Storia di un sovversivo (e di un assassinio di Stato).
Venne distribuito col n. 281 di A-rivista anarchica, nel 2002. Ancora può essere richiesto alla redazione.
Franco Serantini, nato a Cagliari nel 1951 e morto a Pisa nel 1972, è stato un anarchico italiano.
Proprio nell’introduzione del citato dossier, Paolo Finzi, storico redattore di A-rivista anarchica, introduce la vicenda con un pezzo che riporto di seguito.

SPESSE, MOLTO SPESSE
Il ricordo è al contempo nitido e confuso, come capita con gli avvenimenti molto in là nel tempo e nella memoria.
A cavallo tra la fine del ’71 e l’inizio del ’72 mi capita di partecipare ad una riunione dei Gruppi Anarchici Toscani, nella storica sede di via San Martino, a Pisa. Ci vado in auto da Carrara, con Aurora – la quale, proprio durante la riunione, non si sente bene per un acuto dolore ad un orecchio. Un compagno che già avevamo visto in altre occasioni, riccioluto, si offre di accompagnarci all’ospedale Santa Chiara: è un affiliato all’AVIS (l’associazione dei donatori di sangue), ci precisa, e là conosce molte persone. Ci aiuterà a trovare qualcuno che, anche se è domenica mattina, dia un’occhiata attenta all’orecchio di Aurora.
Franco sale in auto con noi, si siede dietro, ma subito prende la mano di Aurora – che sta soffrendo. Cerca così di confortarla, la sua stretta di mano è forte. Mi colpiscono le lenti dei suoi occhiali: spesse, molto spesse. Si capisce al volo che Franco, senza occhiali, ci deve vedere poco, proprio poco. Poi entriamo all’Ospedale e capiamo subito che Franco è di casa, benvoluto e salutato da tante persone.
E qui sfuma il ricordo…
Trent’anni dopo ci ritroviamo a ricordare quel ragazzo dalla mano calda e dalle lenti spesse. Un compagno tra i tanti che abbiamo avuto modo di conoscere.
Eppure la sorte tragica toccata a quel giovane anarchico, di cui non conoscevamo l’infanzia trascorsa in brefotrofio, ha fatto sì che una persona semplice, senza alcuna particolare storia alle spalle, sia diventata dopo una delle figure-simbolo della carogneria del potere.
Non fu ucciso in piazza, negli scontri seguiti alla contestazione del comizio del missino Niccolai. Fu selvaggiamente bastonato dalla polizia, lui che non poteva difendersi perché – senza occhiali – quasi niente poteva più vedere. Fu arrestato, gettato in cella e lasciato morire senza praticamente ricevere quell’assistenza cui aveva diritto e che l’avrebbe salvato. E, come in altri casi analoghi, il suo prolungato assassinio sarebbe rimasto avvolto nel nulla se i suoi compagni non si fossero subito mossi, se tante e tante persone oneste non si fossero subito battute contro chi voleva tutto nascondere, se ad un certo punto il giornalista Corrado Stajano non avesse dato alle stampe quel libro Il sovversivo che ci ha restituito a tutto tondo la sua vita e poi la sua morte, se…

In seguito alla lettura del dossier e del libro di Stajano potei approfondire i particolari di quella breve vita e della disumana morte e, provando ad assaporare la libertà che Serantini cercò ostinatamente, scrissi “Un sogno sul Lungarno”; la inclusi in Storie in forma di canzone, album del 2013. Nel libriccino che accompagnava l’album non inserii i testi delle canzoni, ma solo i riferimenti dei musicisti e qualche breve nota introduttiva, che per quella canzone affidai direttamente all’amico Paolo Finzi: La canzone racconta la storia di Franco Serantini (Cagliari, 16 luglio 1951 – Pisa, 7 maggio 1972). Anarchico, pestato a sangue dai celerini durante una manifestazione antifascista, viene incarcerato e nonostante il suo evidente grave stato di salute non viene curato, muore in cella a causa delle gravissime lesioni riportate.

Vendevano Pisa d’avorio
bandierine tricolori
e palloncini colorati
tutto intorno al riformatorio
Dov’è la bottega del vinaio
sul Lungarno Gambacorti
tra le vie Toselli e Mazzini
si truccavano gli assassini
Ci andasti perché ci si crede
a quell’ideale smisurato
senza grate fra te e il cielo
come l’acrobata ferroviere
Ricciuto, sardo e anarchico
con occhiali da miope
nella tua giacca marrone
sul precipizio del burrone
Non eri d’accordo con nessuno
un cane solo senza padroni
dopo il Ponte di Mezzo
finalmente in mezzo a qualcuno
Rovistando tra le tue disgrazie
accumulate negli anni
assaporando la libertà
ostinata quanto la felicità
Che differenza vuoi che ci sia
tra un brefotrofio e una prigione
le stanze sono strette uguali
per un’ansia sociale come la tua
Si può morire a vent’anni
in una sera di maggio
con un sogno impossibile
dopo una vita invisibile

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