PIETRE CHE ROTOLANO
Quando si era ragazzi di 16 o 17 anni e si decideva di provare a suonare insieme in un gruppo, per lo meno ai miei tempi, per saggiare l’affiatamento e il suono, i primi brani che si eseguivano, che si cercava di riprodurre il più fedelmente possibile, erano pezzi celebri della storia del rock. Io, ma molti altri, ho cominciato con “Sympathy for the Devil”, “Honky Tonk Women”, “Jumpin’ Jack Flash”, poi “Johnny B. Goode”, “Foxy Lady” e “Hey Joe”…
I Rolling Stones erano un’ottima scuola per i chitarristi e per la sezione ritmica, pezzi apparentemente non troppo difficili da decifrare…
Si suonava in qualche garage, e sentire che il suono prendeva una certa forma quando ciascuno riponeva impegno e passione nel proprio strumento dava una strana euforia.
Recentemente, un caro amico, col quale condivido alcune passioni musicali, mi ha prestato un libro: Keith Richards Life, con James Fox. Racconta la vita stupefacente di Keith Richards che, come ammette egli stesso (Richards, mica il mio amico), se l’era immaginata, ma non pensava che sarebbe successa. «Non c’è nulla di paragonabile a 15 minuti di ragazzine pubescenti che urlano a perdifiato coprendo i tuoi errori».
Mentre leggevo, mi appassionavo e approfondivo anche altre storie, come ad esempio quella dei Beatles, che degli Stones furono amici, altro che rivali, legati dalla musica, dalla voglia di riscatto e anche dalle droghe che apparvero in quegli anni. Da qualche parte, ma non su K.R. Life, ho letto che i Beatles ad Amburgo dormivano tre ore a notte dietro a uno schermo cinematografico sempre acceso, con un gabinetto comune senza vasca o doccia, un solo letto e gli altri fatti con due sedie accostate. Non avendo soldi per mangiare, scroccavano o rubavano avanzi di cibo. A Liverpool suonavano davanti a folle di teppisti che se ne fregavano di quella musica e facevano a botte, picchiando anche loro; al Cavern suonavano in mezzo ai topi. C’è una certa differenza fra i musicisti che vennero alla ribalta allora e quelli di oggi.
Risulta quasi incredibile la storia degli Stones e la società entro cui si sviluppò. Frugando nel web, alla ricerca dei tanti personaggi citati nella biografia — soprattutto Anita ‘Sesso, droga e Rolling Stones’ — ho scovato una bella cover interpretata da Richards che non conoscevo: “Cocaine Blues”, la cui versione originale pare sia di Luke Jordan, del 1927, oppure di Dave Van Ronk, non so.
Tra quelle pagine, i miei ricordi di gioventù, le ore trascorse a cercare il giusto suono e gli accenti ritmici, tornavano insolenti nel mio presente, come pietre rotolanti.
Facendo una media matematica fra ciò che dice nella biografia e quanto si riporta su Wikipedia, Keith Richards ha fatto uso di droghe di ogni tipo ed è stato dipendente da eroina, che però si faceva intramuscolo e non per endovena, e cocaina — «ma le sostanze di allora erano tutte di alta qualità» —, almeno fino al ‘93, ossia fino e oltre i cinquant’anni d’età. È una stronzata che si fosse fatto sostituire il sangue, detta e alimentata da egli stesso per recitare il copione che gli altri gli avevano appioppato. Era, oltretutto, un buon bevitore. Però, per sua stessa ammissione: «Io non ho mai avuto problemi con la droga. Ho avuto problemi con la polizia». Al di là del vissuto in pieno stile rock’n’roll, del mito, delle dicerie e delle leggende che anche lui innescava, della novità delle droghe di cui pochissimo si sapeva riguardo le conseguenze, Richards ha conosciuto anche il dolore più estremo, quando il suo terzo figlio, Tara, che ebbe con Anita Pallenberg, morì tragicamente nella culla a soli due mesi a causa della sindrome della morte infantile improvvisa. Quando lo seppe, Richards era in tour.
La stragrande maggioranza delle canzoni dei Rolling Stones, raccolta in una trentina di album, è firmata dal duo Jagger-Richards. Eppure, inizialmente, quei ragazzini inglesi volevano solo imparare a suonare il blues di Chicago, il cui stile si caratterizza dalla tessitura delle parti dei due chitarristi — inizialmente Keith Richards e Brian Jones —, che suonano la chitarra ritmica e quella solista nello stesso momento, senza scollarsi troppo l’una dall’altra. Cominciarono come una band che faceva rivisitazioni di brani del repertorio americano di rock‘n’roll, blues e rhythm’n’blues, fin quando Richards e Jagger scoprirono di poter comporre delle cose originali: il primo abbozzava di solito le musiche, il tema e alcune immagini, mentre il secondo ci cuciva sopra il testo e le rifiniva.
Immerso in quei ricordi non miei, scritti decisamente bene da James Fox, mi sono venute idee per delle future sovraincisioni che vorrei fare per il prossimo album, così ho cominciato a esercitarmi con l’accordatura cosiddetta Open G, ossia aperta in Sol, quella che utilizza Keith Richards, solo che io non levo il Mi basso. Dopo una ricerca, non avendo trovato un prontuario di qualità scaricabile gratuitamente riguardante le posizioni degli accordi, ho ordinato su la Feltrinelli “Gli Accordi: Accordature Aperte 13 tipologie di accordi in tutte le tonalità nelle 3 accordature, DADGAD, Open D, Open G”. Ci sarà da divertirsi. Al momento penso a delle parti per “Quand’è quasi buio”.
Poi, verso la quattrocentesima pagina di Life — evidentemente la stavo solo reprimendo —, è venuta fuori a forza la mia “Canzone per Keith”. Musicalmente, si ispira spudoratamente a “Cocaine Blues” nell’interpretazione di Richards.
Il testo nasce, o forse è vomitato, dalle pagine della biografia Life.
Nel momento in cui chiudevo il pezzo, è giunta la notizia della morte di Charlie Watts, il battito cardiaco dei Rolling Stones, quello sempre fedele alla moglie, contrario al sesso facile, niente groupie e, soprattutto, appena sfiorato dagli eccessi.
Un’altra pietra che rotola, rotolata via per sempre.
Il Demonio, sornione / allentava il Mi basso / Gesù o chissà chi lo tendeva
mostrava la lingua / alla morte insolente / fuggendo e nel frattempo viveva
Dante indeciso / fra inferno e paradiso / tutti posti che conosceva già
Bobby intanto / nascondeva siringhe / nella campana d’ottone del sax
Tutto aveva immaginato / ma gli sembrava impossibile / cercava il modo di esprimerlo
quel cuore del blues / sul filo d’un coltello / e capì che doveva viverlo
Recitava la sua parte / un copione già scritto / ci furono anche bei momenti
ha tanto amato / ha cambiato mille case / ma i gendarmi eran spesso irruenti
Alla morte faceva la lingua / intorno agli occhi la matita
e un teschio nelle dita / e un teschio nelle dita
È rimasto l’affetto / un bambino nella culla / un amore tossico dorme tranquillo
giusto e sbagliato / perennemente in esilio / con qualche piccolo assillo
La morte gli ha messo / la matita intorno agli occhi / un teschio d’argento nelle dita
alla fine il Mi basso / l’ha del tutto levato / per prendere a morsi la vita
Alla morte faceva la lingua / intorno agli occhi la matita
e un teschio nelle dita / e un teschio nelle dita
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