Ricorre il centenario dalla nascita di Federico Fellini, maestro del cinema, artista che ha dipinto il ‘900 nelle sue pellicole, come affreschi che si conserveranno in eterno, con toni accesi e grotteschi, fra sogno e immaginazione. I ritratti che fece parlavano di molteplici questioni della sfera umana, dalla solitudine all’alienazione, dall’amore all’incomunicabilità. Con lo sguardo di un uomo di provincia seppe anticipare l’esplosione della società che oggi conosciamo, regolamentata dai mass-media, in grado di prevedere i sogni e le aspettative degli individui, con sottofondo un’enorme orchestra impazzita.
Se, come disse, “l’unico vero realista è il visionario”, nei suoi film fece esplodere la realtà fino a trasformarla in sogno, o in incubo, facendo al contempo implodere i sogni fino a renderli reali o, per lo meno, realistici.
L’opera felliniana è onirica, surreale e visionaria, contiene satira e un velo addensato di malinconia.
In passato, scrissi una canzone autobiografica che riavvolgeva il tempo trascorso, il mio tempo, periodo in cui attraversai un momento di grande difficoltà che mise a soqquadro la mia vita, in cui camminavo sopra una corda e sotto potevo vedere il baratro; la intitolai “Amarcord”, come il film di Fellini del 1973, anno della mia nascita. Il neologismo del titolo indica una rievocazione in chiave nostalgica e questo si proponeva di fare la canzone.
Il vento sputa negli occhi
vita e malinconia
inutili pastrocchi
musica, affetti, malattia
Non necessita certamente di omaggi per essere nobilitata, specie se provenienti da un piccolo scrittore di canzoni, però, l’opera felliniana ha sicuramente arricchito il mio immaginario e capita che affluisca in qualche verso o in qualche composizione. La prima cosa che ho scritto quest’anno si intitola “Marcello Snàporaz nell’ottovolante”. È una canzone liberamente scippata al film La città delle donne di Federico Fellini, un incubo in cui Snàporaz — nome con cui Mastroianni giocava a identificarsi con Fellini, di cui era l’alter ego, o viceversa — rivive i turbamenti dell’infanzia, le prime esperienze sessuali, i rapporti con l’altro sesso e un matrimonio ormai stanco. Una certa critica del tempo lo accusò di non avere più niente da dire (come accadde fra Bertoncelli e Guccini), ma soprattutto si infuriò il movimento femminista. Di fatto, le donne amavano Fellini.
Per colorare la parte musicale mi piacerebbe lavorare a degli arrangiamenti che si rifacciano all’inconfondibile stile di Nino Rota, a cui il regista era legato, e in tal modo lo scippo potrà dirsi completo.
Marcello Snàporaz
è un uomo maturo
incauto, ossessionato
con istinto da baro
durante un tragitto
sobbalzato dal treno
ha un flirt con una
misteriosa signora
Marcello Snàporaz
rintontito la segue
scende alla fermata
di una stazione irreale
in mezzo alla campagna
il cappello di ermellino
tra i cespugli la scova
e al Grand Hotel si ritrova
Nelle sale il tumulto
di un congresso femminista
si parla per slogan
con ferocia mai vista
una soubrette e un donnone
l’aiutano a scappare
da quella gabbia di pazze
quando incontra le ragazze
Lo braccano sulla strada
del castello di Katzone
così, si rifugia
dal desueto santone
nella sua pinacoteca
testimonianze di conquiste
un’ordinata collezione
d’intimità e seduzione
Sotto il letto uno scivolo
montagne russe felliniane
alla fine un’altra gabbia
dopo ancora il tribunale
tutte per il linciaggio
e si risveglia nel vagone
assolto e compiaciuto
d’aver solo sognato
Il vecchio Snàporaz
ora ha smesso di sognare
passeggia nei viali
ha cambiato gli occhiali
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