L’INCONTRO CON MARCO BALIANI
«Ci piaceva immaginare degli atti di coraggio che non cercassero una risonanza»
(Marco Baliani)
La Stazione dell’arte di Ulassai, paese dell’Ogliastra incassato fra monti calcareo-dolomitici con la conformazione di tacchi, grotte e foreste, a 775 metri sul livello del mare, è un luogo magico, non solo dal punto di vista paesaggistico e naturalistico, ma anche in quanto punto di arrivo di un ambizioso progetto di Maria Lai, una delle più grandi artiste contemporanee, nata cento anni fa: un lungo viaggio partito legandosi alla montagna…
Maria Lai univa montagne e stelle con strisce di stoffa e fili. Quando se ne è andata ci ha lasciato un universo, come un groviglio, come una ragnatela, come una geografia. E la nostalgia ha trasformato l’assenza in presenza che muove un immenso telaio immortale e cuce i libri.
La Stazione dell’arte occupa tre caseggiati della vecchia stazione ferroviaria, su un piano che domina la vallata sottostante. È un moderno museo d’arte contemporanea che non si limita ad accogliere le opere donate da Maria Lai, ma si apre ad altre discipline artistiche come la musica e il teatro.
Per alcune sere d’agosto quel luogo ha ospitato i palcoscenici della ventesima edizione del “Festival dei tacchi”, organizzato da Cada Die Teatro.
A quel Festival c’ero stato nove anni prima, sul palco con Don Gallo e, grazie al direttore artistico Giancarlo Biffi, amico regista e attore, ci sono tornato per la ventesima edizione, inizialmente un po’ impaurito, per accompagnare Marco Baliani, attore, autore, drammaturgo, scrittore e regista, maestro e ideatore del teatro di narrazione. Il mio timore era dovuto al fatto che in programma, oltre a nomi prestigiosi per quanto riguarda gli spettacoli teatrali, c’erano performance di musicisti del calibro di Paolo Fresu e Paolo Angeli.
Insieme alla mia compagna abbiamo alloggiato in un B&B incantevole con terrazza che si affaccia sulla valle del Pardu. I pasti li consumavamo, in compagnia dello staff e degli ospiti, in orari quasi indecenti, nel Rifugio d’Ogliastra.
Così, come cantautore mascherato da musicista ho avuto il piacere di curare e accompagnare con le musiche Baliani nel suo reading “Del coraggio silenzioso”.
Le nocche delle mani gli si stanno sbiancando da tanto stringono la barra del timone, a Zenzeri gli sembra di essere lì da un secolo, aggrappato a quella ruota di legno che pare sfuggirgli di continuo, calamitata dalla furia del mare, là sotto le onde sono rabbiose, sbattono sulle fiancate del Mortedha, investono la chiglia sollevando il peschereccio, per poi farlo ripiombare in basso con un tonfo che sembra squassarlo, a ogni zampata del mare le sue braccia sussultano, la presa vacilla per un attimo, si afferra con ancor più forza alle caviglie della ruota, […]
“Del coraggio silenzioso” di Marco Baliani
Il testo di Marco Baliani, strutturato in cinque storie, è decisamente intenso, commovente, smuove l’anima, la coscienza, la memoria. A me, con la chitarra sulla coscia, è stato affidato l’arduo compito di incastonare gli interventi musicali, adattando e travestendo le mie composizioni, pizzicando le corde, cercando i suoni. Le indicazioni datemi dall’attore riguardavano le entrate e le uscite musicali, mentre «per le scelte delle musiche mi affido a te». L’ho finita con fogli zeppi di appunti, segni e disfemie che volevano tradurre emozioni, suggestioni e intenzioni.
Così, il pubblico muto, incantato, ha potuto sentire e forse vedere le storie di Rosa Parks, di Abdelbasset Zenzeri, di Khaled al-Asaad, di Ilse Weber e di Palden Gyatso, fino a quando la musica è cresciuta e rimasta da sola per alcuni minuti, aggrappandosi al tramonto che si spargeva nel cielo, sopra l’ex stazione gremita di gente e di opere d’arte in forma di terrecotte, di ceramiche, di telai, di pane, di libri cuciti e di tele.
Quando Marco ha narrato la storia di Ilse Weber, intervallata da frammenti di una ninnananna che ho avuto l’onore di cantare, il terrore per quella vicenda realmente accaduta gli ha strozzato le parole, che uscivano a stento dalla sua bocca. E quel senso di soffocamento ha pervaso tutti quanti, compreso me che sentivo le dita annodate alle corde.
Quindi, il silenzio e un attimo dopo gli applausi a sovrastarlo. E in quel preciso momento è come se si fosse sedimentato in ciascuno dei presenti il significato vero del coraggio silenzioso e non appariscente, questa declinazione della parola coraggio di cui lo spettacolo ha voluto dire, di cui Marco Baliani ha raccontato con sensibilità e maestria fuori dal comune.
In un’intervista rilasciata recentemente a “La Repubblica” Baliani dice: «Ci sono certi aspetti del mondo che mi spaventano, aspetti per cui anche la sacralità della vita sembra non contare più niente. È una deriva pericolosa che mi inquieta, e il teatro è l’unico modo che conosco per condividere questa mia inquietudine e sentirmi così meno impaurito». È quello il senso, anche per me, dello scrivere canzoni: raccontare, con l’illusione di sconfiggere l’inquietudine di quest’epoca.
Andandomene ho portato via due giorni di arte, di incontri, di impegno civile, di abbracci prima della partenza, di bellezza che ammiravo la mattina appena alzato dalla terrazza del Charlie Sardinia, l’atmosfera del festival e qualche bottiglia di cannonau.
(Foto del Cada Die Teatro)
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