LETTERA ALL’ANARCHICO FINZI
Febbraio 2019
Caro Paolo,
ci siamo salutati ieri sera in quello spazio immerso nei libri, con sguardi in tralice che sbucavano dalle pagine alle nostre spalle, di personaggi morti in carcere o in qualche guerra, e altri sguardi, luccicanti, che riflettevano su concetti troppo densi per stare nei versi di una canzone, anche se De André riuscì a farceli stare.
In apertura ti raccontavo di Emergency e, senza voler entrare nei particolari, ti dicevo di essere fuoriuscito dall’assemblea dei soci, un po’ per l’abuso delle deleghe che, non essendo agevolissimo partecipare per questioni geografiche, mi ritrovavo troppo spesso a fare. Come sai, la delega non rappresenta esattamente il mio modo di stare al mondo. Inutile nascondere che all’interno dell’assemblea cominciasse a sentirsi puzza di arrivismo e di potere, nonostante — è innegabile — lo scopo e i mezzi di Emergency, dal 1994 al 2019, si siano sempre tradotti nella cura delle persone (finora 9 milioni, una ogni due minuti, e non è uno slogan). Così è terminata la mia avventura di anarchico volontario di Emergency, nonostante sia convinto che starò sempre da quella parte. Vedi, se c’è una cosa che ho imparato standoci dentro, più che orbitando nel campo libertario, o studiando a scuola, o documentandomi in altri modi, è che lo strumento guerra non funziona, distrugge vite umane e basta, senza variabili possibili. Piero, si trovò di fronte quello con la divisa di un altro colore, ma già venticinque anni dopo Piero si sarebbe trovato a combattere una guerra differente, dove gli obiettivi non erano più esclusivamente militari, e dove il campo di battaglia diventava una città intera, con i suoi bersagli fatti di case, di strade, di ponti, di scuole, di ospedali, di civili che ci vivono dentro. Piero si sarebbe forse trovato a bordo di un aeroplano e certamente avrebbe scelto di non sganciare quelle bombe a frammentazione su obiettivi troppo piccoli per poter distinguere il soldato o il terrorista dal contadino. La guerra, da quella di Piero in poi, è diventata solo morte e distruzione dove oltre il 90 % delle vittime sono civili. Per questo lo strumento guerra non funziona e andrebbe abolito. Per questo la violenza, strumento proprio del potere, andrebbe sempre condannata.
Ci siamo lasciati fondamentalmente su quella pietà che non cede al rancore, ma anche nella convinzione che non ci siano poteri buoni, anche se — come raccontavi — alcuni ritenevano che la questione fosse legata più profondamente al dominio e all’autorità. Infatti, non necessariamente il potere viene esercitato da qualcuno che sta più in alto nella scala gerarchica, quindi, il problema starebbe nell’esercizio del potere e, in ultima analisi, nell’autorità. Ma noi ragionavamo sull’opera del cantautore genovese, e “che non ci sono poteri buoni” mi pare racchiuda perfettamente il concetto, oltre a rispettare l’aspetto poetico dell’autore.
Un po’ meno efficace la tua battutaccia sulla verità che sarebbe posseduta solo dal Papa, prontamente stigmatizzata da Gerardo Ferrara, ma che tutto sommato, per via di quella pietas che ci contraddistingue, è stata benevolmente accettata dai presenti.
Caso mai, viene da chiedersi se, per via di quella pietà che non cede al rancore, dovremmo consentire che un Salvini abbia il diritto di strumentalizzare De André, a suo uso e consumo. Di questo parlavo con Marino, l’amico che era con me, mentre riassumevamo le belle sensazioni della serata. Dal mio punto di vista, direi che fra quella pietà e il rancore si possa trovare un punto di mezzo, nel quale collocare coloro ai quali non sia giusto porgere l’altra guancia, fra i quali il ministro dell’inferno e delle interiora, e anche San Francesco approverebbe (altra battutaccia).
A questo proposito, da piccolo cantautore mi sono permesso di storpiare “Il pescatore” a immagine e somiglianza di quello là e termina che il pescatore spara l’immigrato e si salva con la Legge sulla legittima difesa:
Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi da immigrato
di uno ch’era appena sbarcato
(Il pescatore secondo Matteo)
Chiudo dicendoti che, al di là dei ragionamenti pseudo filosofici, è stato molto bello rivederti, incontrare gli amici del festival Buon Compleanno Faber e conoscere altre persone che attorniano te e la rivista anarchica — quasi una bella cinquantenne —, come Porpora Marcasciano e Cati Schintu.
Un saluto fraterno, N.
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