SCALETTA:
- Sally (De André/Bubola)
- Tabarca (Max Manfredi)
- Canzone di notte n. 2 (Francesco Guccini)
- Nancy (Cohen/De André)
- I treni a vapore (Ivano Fossati)
- Anime salve (De André/Fossati)
- Generale (Francesco De Gregori)
- Sporco boulevard (Reed/Pisu)
- Chi col fuoco (Cohen/Pisu)
- Spero di non innamorarmi di te (Waits/Pisu)
- Il gorilla (Brassens/De André)
- Il morale delle truppe (Max Manfredi)
- Suzanne (Cohen/De André)
- Bocca di rosa (Fabrizio De André)
- Il pescatore (Fabrizio De André)
- L’avvelenata (Francesco Guccini)
- I cantautori (Nicola Pisu)
Una delle prime canzoni che ho sentito di Guccini e che mi ha fatto innamorare della sua poetica è “L’avvelenata”. Forse — mi dico oggi — l’infatuazione è avvenuta anche perché ero un ragazzino e le parolacce avevano un bel fascino su di me. “L’avvelenata” è uno sfogo, un grido di insofferenza contro la musica e l’arte in genere, una critica al modo di porsi e concedersi di cantautori e artisti, ma anche riprensione verso sé stesso. Ormai, la datazione della canzone si sente: è figlia di un determinato periodo, gli anni Settanta, e ne riflette bene l’atmosfera dei dibattiti interni alla sinistra sulla figura e la coerenza del cantautore. Ritengo però, con i dovuti adattamenti epocali, che artisticamente e retoricamente sia ancora notevolmente efficace, e in grado di esprimere una forte e sincera commozione poetica. Quando giovanissimo andavo in giro col mio spettacolo Viaggio nella canzone d’autore insieme ai Suoni e Rumori Popolari, la canzone del maestrone era una presenza costante in scaletta. Adesso, che è trascorsa un’altra ventina d’anni da allora e oltre quarantacinque da quando Guccini la scrisse, mi piacerebbe reinserirla nella rosa delle cover da eseguire dal vivo, anche perché oggi la sento particolarmente mia.
Da queste riflessioni nasce I miei cantautori, un progetto musicale, un concerto di un’ora, che ho in mente da un po’ di tempo, dove, per una volta tanto, metto a tacere il mio narcisismo, per dedicarmi alla canzone d’autore che ha forgiato il mio immaginario e il mio modo di scrivere canzoni. Probabilmente aprirei con “Sally”, che racconta la miseria umana, altro che favoletta!
Ci ho pensato assiduamente nel periodo di chiusura — forzata, ma prevalentemente responsabile —, dove la vita ha rallentato, dove la frenesia di uomini e donne ha dovuto placarsi nel tentativo di contenere la catena epidemiologica attraverso l’unico strumento conosciuto fin dalla peste nel XIV secolo: la famigerata quarantena. Confinamento, clausura, lockdown, chiamiamolo come ci pare, che tutto sommato non ha modificato più di tanto le mie abitudini. Addirittura, il numero dei miei concerti si è portato nella media degli altri cantautori, nonostante i miei live in streaming siano stati pari a zero.
In qualche modo, il lockdown ha rafforzato il senso di condivisione collettivo e di unione, perché tutti si era nella medesima situazione di confinamento forzato. Ma, da quando è partita la cosiddetta fase 2, quella delle riaperture, la maggioranza delle persone ha ripreso a fare e a comportarsi come ha sempre fatto, mentre io sono rimasto fiduciariamente nel mio lockdown personale, ma molto più solo di prima.
Ma torniamo all’idea dei miei cantautori. Non è un concerto mio: il sottoscritto si limita a eseguire i pezzi di altri, raccontando qualche aneddoto legato ai testi. La mia intromissione si intravede solo nelle traduzioni dei giganti, oltre che nella chiusa dello spettacolo — se spettacolo può definirsi quello di un piccolo cantautore seduto su una sedia, con il leggio di fronte, che imbraccia la chitarra e canta canzoni non sue.
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