DEL GENOCIDIO DEGLI INDIANI D’AMERICA
Mi è capitato di leggere le Lettere di George Catlin, che costituiscono una delle più importanti testimonianze dirette sugli Indiani della Grande Pianura nordamericana. Durante gli anni Trenta Catlin soggiornò a lungo presso quelle genti, visitando quasi cinquanta tribù. Fu il primo uomo bianco ad assistere alla terrificante Danza del Sole.
In “Toro Capovolto”, un indiano metropolitano racconta la sua vita grottesca nelle metropoli europee. Ha perduto identità e dignità, come tutto il popolo dei Nativi Americani.
Io sto con Toro Capovolto e con l’autodeterminazione dei popoli, intesa come affermazione di sé stessi, in quanto individui e in quanto comunità, in contrapposizione a chi vorrebbe che la libertà di un popolo si riducesse al massimo alle scelte del proprio sfruttatore.
Io sto con Toro Capovolto anche perché credo nella filosofia di vita dei Nativi, dove le attività musicali e artistiche scandivano la vita degli indiani molto più del lavoro, che era ridotto al minimo necessario per la sopravvivenza.
Le norme di vita di un popolo, la propria identità, non sono sempre accettate e rispettate dagli altri e la storia insegna cosa possa accadergli se non si renda disponibile a modificarle, conformandosi alle regole più largamente condivise: diventano inevitabili la condanna e la soppressione attuata dal più forte.
“Chi nasconde un ebreo è contro il popolo tedesco” e “Chi aiuta un immigrato è contro il popolo italiano” sono due moniti deliranti del tutto simili, anche se ci si era ripromessi che il primo sarebbe dovuto essere un avvertimento perché in futuro non si ripetessero orrori analoghi…
Ma, d’altra parte, basti pensare che molto tempo prima della dittatura nazista, dall’arrivo degli europei nel continente americano nel XV secolo, fino alla fine del XIX secolo, si stima che “sparirono” fra i 50 e i 100 milioni di persone in quello che fu chiamato genocidio dei nativi americani.
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