Si MAT2020, Athos Enrile dà notizia del nuovo album.
È appena uscito “di un cantautore e d’altre storie”, di Nicola Pisu, suo sesto lavoro discografico.
A giudicare dall’oltre ora e mezza di canzoni – suddivisa su diciotto brani – viene da pensare che la lunga fermata per l’emergenza sanitaria sia stata sfruttata per accumulare idee e soluzioni conseguenti, compresse in un contenitore al quale viene ora tolto il coperchio per farne fuoriuscire la resulta.
Conosco virtualmente Pisu dal 2014, quando incontrai casualmente la sua musica, e da allora ho seguito il suo percorso che è lastricato da piacevoli azioni musicali, sempre privilegiando l’aspetto artistico, sempre lontano da costrizioni commerciali.
Il “mestiere” di Nicola è il cantautore, ma parlo di quello originale, quello che forse non esiste più, quello che racconta storie e regala messaggi, il poeta visionario e al contempo concreto che dà voce a sogni e ideali.
Insomma, ascolti la musica di Pisu e ti ritrovi in un luogo – e in un tempo – che pensavi non esistesse più.
L’autore è conscio dello status e, almeno apparentemente, rassegnato ad un ruolo che negli anni è cambiato, perché nascere nel momento giusto al posto giusto resta sempre un grande vantaggio, ma anche una sorta di porta oscura di cui non si possiede il passepartout e nemmeno si conosce la modalità di costruzione.
A seguire propongo il pensiero dell’autore estrapolato dal sito di riferimento, e più che analizzare i vari brani preferisco fornire un’immagine di massima, il profumo che sgorga spontaneo dalle canzoni che Pisu scrive in quantità industriale, sicuramente per sé stesso, ma immagino soprattutto il piacere della condivisione!
L’unica concessione al nuovo che avanza è la proposizione di un album totalmente digitale, fatto probabilmente legato a costi di produzione e distribuzione, non so quanto amato dall’artista sardo.
Ma la musica è musica, qualunque sia il metodo con cui se ne usufruisce e, in questo caso, ogni singolo brano, nessuno escluso, riporta all’essenza cantautorale – e non mi sembra importante nominare illustri predecessori -, quella più pura, che idealizza immagini attraverso l’elemento sonoro, che usa pudore nel porgere il pensiero, che non urla ma sussurra, e quando c’è da alzare la voce preferisce un po’ di sano cripticismo, tanto per allenare l’ascoltatore facendolo partecipare, e rendendo osmotico il rapporto tra le parti.
Non mi pare un caso il coinvolgimento in un brano – “Filastrocca”, che propongo a seguire in video – di Max Manfredi, uno che sintetizza il suo percorso raccontando: “Sono andato al Club Tenco e lì ho scommesso sul mio futuro, nel senso che ho deciso di non fare altro se non le cose cui tenevo, e che so di poter fare bene, indipendentemente dai buoni esempi e dai molti cattivi.”
Pisu, un po’ più giovane di Manfredi, mi appare dall’esterno come una sua naturale diramazione, nel senso della posizione rispetto al mondo musicale, alla vita, alla professione. Sottolineo che sono solo sensazioni personali derivanti da ascolti e letture, nulla di più.
Il disco, diviso in due “tomi”, va ascoltato e riascoltato, e forse non è nemmeno necessaria una grande concentrazione, nel senso che il tutto si può cogliere con una certa semplicità, ed è questo il pregio dei grandi, saper dare pennellate su di una tela successivamente accessibile a tutti.
L’esempio che posso dare è, come già sottolineato, un brano che vede l’ospite “nobile”, per il resto vi rimando all’intero album, la cui modalità di acquisizione è segnalata a fine articolo.
Molto, molto soddisfatto! […]
Questa intervista non è mai avvenuta e mi approprio indebitamente del contenuto pubblicato da Nicola Pisu nel suo sito di riferimento, ma sono grossomodo le risposte che avrei cercato di ottenere – nella tipologia – e, soprattutto, risultano icastiche di un album… sostanzioso, per cui sono certo che l’autore non ne avrà a male se trasformo il suo pensiero nel gioco domanda/risposta, a vantaggio dell’ascoltatore.